Gli italiani non amano i preliminari. La battuta, facile facile –scommettiamo che i tabloid inglesi non la lasceranno intentata?- nasconde una realtà ben peggiore del cattivo gusto.
Con la debacle dell’Udinese sono tre stagioni che il nostro calcio non riesce a scollinare gli spareggi. Complice da un lato la riforma Platini, che ha resto più competitiva la selezione (un tempo bastava superare bielorussi e ciprioti) e dall’altro, ovviamente, l’impoverimento tenico della serie A, tradottosi nella nota retrocessione nel ranking Uefa.
Werder Brema e Arsenal (avversari della Samp e proprio dei friulani la scorsa annata) avevano forse un pedigree più importante degli onesti portoghesi del Braga, ma il discorso non cambia: facile ora prendersela con i Pozzo e con le cessioni dei vari Isla e Asamoah, con i mancati acquisti e l’accusa di aver snobbato l’impegno, facile dire che altre avrebbero superato il turno. La realtà è che l’Udinese è arrivata terza con pieno merito, colpevole semmai è stata la concorrenza a non esserci riuscita.
Colpevole, soprattutto, è stato un movimento capace di depauperare una superiorità tecnica che esattamente dieci stagioni fa portava tre squadre alle semifinali, apparecchiando sotto il naso degli inglesi la prima finale tutta italiana.
Gli inglesi hanno poi recuperato con gli interessi, è esploso il Barcellona, siamo diventati perfino campioni del mondo. Ma di quell’eccellenza calcistica è rimasto ben poco.
Se le nostre continueranno a rincorrere l’europa –soprattutto quella minore- per poi schierare giocatori pescati dalla tribuna, se si continuerà a nascondersi dietro la celeberrima legge sugli stadi per nascondere scarsa volontà di investire, se continueremo in definitiva a “fare gli italiani”, allora non ci sarà da sorprenderci se anche la prima della classe, un tempo corteggiata da tutti, faticherà ad andare oltre i preliminari.