Alla base del declino del calcio italiano c’è una mentalità sbagliata, che rende difficile l’esplosione di nuovi talenti: come superare la crisi?
La sovraesposizione mediatica, la pressione psicologica, l’obbligo di vincere sempre e il peso di milioni di tifosi sulle spalle, ecco cos’è il calcio in Italia. Più fede che tifo; se a tutto ciò sommiamo l’impero economico, esagerato, che si nasconde dietro le società, è inevitabile chiedersi come possa, in un ambiente così esasperato, farsi largo un giovane di belle speranze?
La valorizzazione dei talenti in erba è divenuta uno dei problemi più spinosi e delicati del calcio italiano. I club, infatti, spesso preferiscono investire sul mercato per sopperire alle assenze, piuttosto che attingere al proprio settore giovanile, e la nazionale paga a carissimo prezzo questa tendenza. Il mancato utilizzo, con costanza, dei giovani obbliga i CT a dover puntare ancora sui campioni del passato, da Gianluigi Buffon ad Andrea Pirlo. Il problema nasce laddove, a differenza di molte società estere che investono con forza nei settori giovanili, i club italiani agiscono al risparmio per quel che riguarda il vivaio, e si concentrano di più sul mercato, alla ricerca di giocatori stranieri ritenuti già pronti. Emblematico è, a questo proposito, lo studio del CIES che ha analizzato e classificato i primi 100 settori giovanili d’Europa, collocando come prima Italiana l’Inter, addirittura al 77º posto della classifica generale. Altro dato, altrettanto rilevante, diffuso sempre dal CIES, è quello dell’età media dei campionati europei: la Serie A è il torneo più “vecchio” con 27.3 anni di media.
Il problema è evidente, sotto gli occhi di tutti; è complicato però invertire una tendenza che ormai è radicata da anni. Di possibili soluzioni ve ne sono diverse: potrebbe essere interessante l’istituzione delle squadre B, sulla falsariga del modello che ha fatto grande il calcio spagnolo negli ultimi anni; ciò permetterebbe ai giovani delle grandi società di esprimersi in un campionato più competitivo di quello primavera, come la Serie B o la Lega Pro. È, infatti, il salto dalle categorie giovanili alla prima squadra il passo più difficile. Una simile gestione permetterebbe ai club di valorizzare con più forza i campioni della propria cantera e si potrebbe così dare un’inversione di tendenza importante. Emblematico è il caso del Barcellona, che grazie al proprio settore giovanile è arrivato sul tetto del mondo, sfornando campioni del calibro di Lionel Messi, Xavi e Andrés Iniesta.
Il vero problema risiede, però, nella mentalità del calcio italiano che non va a favore dei giovani. L’eccessiva pressione addossata a ragazzi poco più che ventenni finisce spesso per complicare, ulteriormente, il percorso di crescita. Il peso mediatico in Italia, nei confronti dei giovani calciatori che si mettono in mostra è spesso esasperato; capita di sovente che semplici ragazzi vengano resi uomini copertina, esaltati e decantati come futuri volti della nazionale e del calcio, salvo poi essere distrutti dagli stessi media quando arriva il fisiologico calo delle prestazioni, tipico dei calciatori poco esperti. Anche le stesse società, in molti casi, non aiutano la formazione spostando i ragazzi come pedine di un grande scacchiere, utilizzandoli come merce di scambio o facendoli entrare in una spirale di prestiti che non permette di trovare continuità, elemento imprescindibile per chi vuole imporsi in uno sport che vive dell’agonismo della partita, come il calcio.
Le possibilità per rilanciarsi ci sono, e sono tante; dalle squadre B alla creazione di rapporti con società “satellite” che favoriscano l’inserimento dei giovani in campionati professionistici più competitivi di quelli Primavera; il problema reale, non tangibile, è però la mentalità. Senza un mutamento della forma mentis non si può sperare di invertire una tendenza che negli anni ha portato al declino del calcio italiano nel mondo, dalla Nazionale (mai stata così in basso nel ranking) ai club che non sono in grado di competere, quasi mai, ad alti livelli in Europa. Ciò che in molti ancora sembrano non capire è che i giovani non sono il problema, ma la soluzione.
Articolo scritto da Andrea Robertazzi
[Immagine presa da fuoriareaweb.it]