Il direttore del Corriere dello Sport Zazzaroni analizza l’addio tra il tecnico piacentino e i nerazzurri.
La separazione tra Simone Inzaghi e l’Inter era ormai inevitabile. A sostenerlo è Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, che nell’editoriale pubblicato sull’edizione odierna del quotidiano ha analizzato a fondo le ragioni di un divorzio che segna la fine di un ciclo durato quattro anni.
LE PAROLE DEL DIRETTORE
“Simone ha fatto bene: non c’erano più le condizioni per proseguire – scrive Zazzaroni – A una manita in faccia nella finale di Champions non sopravvive nessuno, neppure il più grande di tutti, il Magnifico Portoghese”. Il riferimento è alla pesante sconfitta per 5-0 subita dall’Inter contro il Paris Saint-Germain, un ko che, secondo il giornalista, ha lasciato ferite troppo profonde, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di ripartenza.
Zazzaroni sottolinea come Inzaghi, pur lavorando in condizioni economiche difficili, sia riuscito a valorizzare il progetto costruito da Marotta e Ausilio, ottenendo risultati importanti e superando anche le iniziali perplessità dello stesso Marotta, oggi presidente del club. Tuttavia, nel calcio di vertice, i risultati sono tutto: “I top mondiali non possono permettersi di perdere. Sono come amministratori delegati: devono garantire fatturati, ovvero vittorie”.
Il direttore del Corriere insiste su un concetto chiave: la sostenibilità, spesso sbandierata come valore assoluto, nel calcio di altissimo livello non basta. “Simone è un tecnico che la sostenibilità l’ha dovuta affrontare, soffrire, vincere. E alla lunga l’ha pagata pesantemente”. Inzaghi, infatti, ha più volte evidenziato – con toni misurati – la distanza tra le risorse dell’Inter e quelle di club come il PSG, sottolineando come il monte ingaggi incida fortemente sul rendimento complessivo.
Zazzaroni ricorda anche come Chelsea, Manchester City e PSG abbiano costruito il proprio successo investendo capitali enormi, spesso sfruttando normative flessibili. “Affermare che la pietra angolare del sistema debba essere la sostenibilità è fuorviante: per vincere con continuità bisogna investire tanto e bene”.
La conclusione è amara ma realistica: nel calcio moderno, lo sport è solo un pretesto. A comandare sono i numeri, i bilanci e i trofei. E chi non regge il ritmo, anche se bravo, è destinato a uscire di scena.