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Marten de Roon Atalanta

Il centrocampista de Roon  si confessa a Cronache di Spogliatoio: dall’infortunio che ha negato finale Europa League all’amore per Bergamo

Marten De Roon si è raccontato in una lunga e toccante intervista a Cronache di Spogliatoio, ripercorrendo il suo percorso all’Atalanta, dalle difficoltà iniziali all’amore profondo per Bergamo e la sua gente. Il centrocampista olandese, ormai una delle bandiere nerazzurre, ha parlato con il cuore in mano, senza nascondere le emozioni.

“All’inizio è stato durissimo. Non capivo la lingua, non capivo dove fossi finito. Ho chiamato mia moglie e le ho detto: ‘Ma dove sono?’”, ha raccontato. “Poi tutto è cambiato. Ora spero di continuare ancora un paio d’anni”.

Il momento più doloroso della sua carriera è arrivato proprio nel momento più alto: la finale di Europa League. Un infortunio lo ha messo fuori gioco a pochi giorni dall’evento. “Appena ho sentito quella fitta ho capito subito che non avrei potuto giocare. Ho pianto a bordocampo, poi a casa con mia moglie. Era la mia partita, la mia ciliegina sulla torta. L’abbiamo vinta, ma non essere in campo mi ha lasciato una macchia”.

Nonostante tutto, De Roon ha ricevuto un’ondata d’affetto da tutta Bergamo. “Mi ha scritto un amico bergamasco: ‘Hai fatto tornare i miei figli allo stadio, gli hai fatto amare di nuovo il calcio’. Quelle parole mi hanno toccato più di qualsiasi trofeo”.

Il centrocampista ha poi parlato del presidente Percassi: “È un tifoso vero, vive ogni vittoria con emozione. Ha costruito qualcosa di grande restando con i piedi per terra, e questo è il segreto dell’Atalanta”. Un ruolo importante lo ricopre anche il figlio Luca, insieme al direttore D’Amico: “Gestiscono tutto con passione e competenza”.

Infine, uno sguardo al futuro: “La vecchia guardia sta andando via, ora tocca ai nuovi. Io però sto ancora bene e voglio dare il mio contributo. L’Atalanta ha un futuro roseo, la società sa cosa fare”.

Tra ricordi, dolori e speranze, De Roon si conferma non solo un leader in campo, ma anche un simbolo di appartenenza e umanità. E Bergamo, oggi più che mai, lo considera uno di famiglia.